Come le formazioni SCUP ci aiutano a riflettere su tematiche attuali di grande rilevanza
Parte integrante del servizio civile (SCUP) è il percorso formativo, in parte generale e in parte specifico, cioè adattato a seconda del progetto di cui il giovane fa’ parte. Per quanto riguarda la formazione generale, le cosiddette “formazioni SCUP” sono incontri digitali, gestiti da un formatore esterno, a cui il giovane in servizio civile prende parte sulla base delle scelte effettuate tra varie opzioni tematiche proposte.
Ci tenevo a riportare alcune riflessioni su una formazione in particolare a cui ho partecipato durante il mese di maggio sul tema degli stereotipi di genere, perché mi ha colpito particolarmente e perché può aiutare a esemplificare la valenza positiva delle formazioni SCUP. L’incontro a cui mi riferisco, dal titolo molto accattivante (GENER(E)AZIONI), mi è sembrato subito interessante, essendo il tema di assoluta attualità, molto dibattuto e di grande rilevanza per la comunicazione, anche quella sui social. Ed è qui che si palesa il collegamento con il mio progetto SCUP, buona parte del quale è incentrato sulla comunicazione. Anche se, devo dire, personalmente trovavo già interessante il tema degli stereotipi di genere, e partecipare a questa formazione è stata un’ottima opportunità per approfondire la mia conoscenza a riguardo e approcciare la questione da diversi punti di vista.
L’obiettivo dell’incontro, tenuto dalla formatrice Carla Maria Reale, era quello di esercitare lo spirito di osservazione critica e la consapevolezza della complessità del mondo che ci circonda, per essere in grado di notare e decostruire gli stereotipi e le asimmetrie di genere che si trovano dentro e attorno a noi. Prima di tutto abbiamo iniziato col dare una definizione del termine “genere” partendo da un brainstorming di gruppo su tutto quello che di immediato associamo alla parola. Abbiamo quindi visto come il concetto di genere sia nato negli anni ‘70 per classificare le persone sulla base di differenze biologiche e come cambi nel tempo e nello spazio, risultando diverso in base alla cultura. Infatti, il concetto di genere è in continuo mutamento, influenzato e tramandato culturalmente.
Inoltre, è interessante notare come questo concetto coinvolga delle aspettative sociali, porti con sé la definizione di attitudini, caratteristiche e attività che automaticamente vengono associate ad un genere o ad un altro. Definisce, in poche parole, la mascolinità e la femminilità. Si tratta però di una costruzione stereotipica perché si basa su un sistema di genere binario e complementare, che vede uomini e donne come due punti con caratteristiche opposte e non esprime la reale complessità dell’individualità delle persone. La realtà sembra essere assimilabile ad uno spettro che va da un punto ad un altro più che a due punti ben definiti e separati.
Anche tenendo conto di questo, però, la società in cui viviamo e, per propria natura, anche l’essere umano, hanno il bisogno di classificare qualsiasi elemento gli si presenti davanti. Per questo, negli ultimi anni sono venute creandosi numerose nuove etichette che cercano di rappresentare questa complessità data dall’identità di genere, l’orientamento sessuale e le espressioni di genere. Tali etichette sono interpretabili in maniera ambivalente. Da un lato, comportano un pericolo perché tendono ad appiattire e semplificare l’identità di una persona perpetuando pregiudizi e stereotipi oppure creandone di nuovi. Dall’altro lato, possono risultare fondamentali per i singoli individui al fine di sentirsi parte di una comunità e riuscire a comunicare agli altri la propria identità: può aiutare partire da una parola per poi magari sviluppare un discorso più complesso, per raccontarsi.
Le visioni stereotipate di genere sono quindi delle generalizzazioni, attraverso semplificazioni della realtà, delle caratteristiche che vengono attribuite alla femminilità e alla mascolinità. Si creano così delle asimmetrie di genere, ben visibili in molte aree della nostra vita quotidiana come, ad esempio, nel linguaggio. In italiano ci sono infatti, tra le altre, delle asimmetrie di genere “grammaticali” date dal fatto che non esiste il genere neutro e che si usa generalmente il “neutro maschile” come prassi. Esempio di questo è la concordanza al maschile di aggettivi che si riferiscono a più referenti, anche quando questi sono sia maschili che femminili. Quando si comunica risulta quindi importante essere consapevoli dell’esistenza di tali asimmetrie e utilizzare di conseguenza un linguaggio non violento e quanto più inclusivo possibile, soprattutto nell’era dei social media. I media in generale rappresentano in sé uno strumento potentissimo, una lama a doppio taglio che, in base a come viene utilizzata, può perpetuare gli stereotipi di genere o, al contrario, contribuire a decostruirli.
Con tutto ciò, si può facilmente capire come un tema di questa complessità e attualità abbia catturato la mia attenzione, così come quella di molti altri giovani, e sia importante da trattare per generare consapevolezza, dibattiti costruttivi e riflessioni personali. Per questo le formazioni organizzate per i giovani in servizio civile, come parte fondamentale dell’esperienza di servizio civile in sé, risultano essere secondo me realmente formative sotto molti punti di vista.